Terza Parte.
Io ho alzato il mio braccio destro e senza dire niente l’ho cinta e strattonata lentamente facendogli sentire il mio calore e la mia solidarietà.
L’ho guardata; era una ragazza sulla ventina, bruna, con la faccia piena di polvere, che mischiandosi con le lacrime, era diventata come quella specie di fango, che a volte vedevo comparire sulla faccia di mia moglie, quando voleva farsi bella. A proposito, io ho una moglie!
Penso che ormai la CNN avrà già data la notizia in televisione e lei sarà in pensiero per me. Ora le telefono e le dico di non preoccuparsi che fra poco esco dalla torre… ma mi sono accorto che il mio cellulare, lo avevo lasciato sulla scrivania dell’ufficio insieme alla giacca, le sigarette e le chiavi della macchina. "Fa 'nculo" la macchina e le sigarette, ma il cellulare poteva essermi comodo! Forse lei mi starà telefonando da tempo e sente che il telefono è acceso ma io non rispondo. Chissà cosa penserà?
Mi sono ricordato di avere una ragazza sotto il mio braccio destro e le ho chiesto se noi ci conoscevamo. Mi ha risposto di no!
Dopo circa un minuto le chiedo se vuole scendere con me, ed è pronta a farlo. Mi dice di sì, ma mi chiede se sono disposto ad attenderla pochi secondi per espletare una funzione corporea impellente.
Le dico di sì, anzi, per non lasciarla sola, invece di attenderla l’accompagno.
Mi dice di non guardare, perché ha paura di chiudere la porta del bagno.
Io mi giro e non guardo. Dopo poco iniziamo la discesa.
Ad ogni piano si sentono grida di gente rimasta imprigionata negli ascensori. Tutti noi siamo diventati sordi a quelle grida. Solo un prete, forse, perché era bianco di polvere, inginocchiato fuori di quella porta prigione, pregava e cercava di portare conforto a chi era rimasto imprigionato. Anche se non sono credente, ho ringraziato Dio di essere libero.
Man mano che si scende aumenta la concitazione. Ogni tanto si vede scendere gente con gli abiti pieni di polvere e sangue: “Forse si saranno feriti, quando le torri hanno oscillato così tremendamente?” Chiedo alla mia accompagnatrice come si chiama, e lei mi dice di chiamarsi Angela. Sei italiana le chiedo?
Lei mi risponde di sì, ma che non ha mai visto l’Italia. Quel nome gli viene da una bisnonna italiana arrivata chi sa quando e come negli States.
Adesso, la tengo per mano per non perderla. C’è sempre gente che corre e ci sorpassa e chi invece affannosamente sale in cerca di qualche parente che lavorava ai piani superiori. La discesa è pesantissima, ma la salita penso che sia tremenda, e solo a qualche persona ottimamente preparata, potrebbe venire la pazza idea di fare quella scalata.
Solo allora mi viene in mente che altri poveracci come noi, i nostri colleghi che lavoravano ai piani sopra l’esplosione, che non potendo scendere, per causa dell’incendio, avranno cercato scampo salendo sul terrazzo del 110° piano e sperando che qualche elicottero li andasse a salvare, prima che l’incendio si arrampicasse per le scale e li sopraggiungesse. Poverini, se la saranno vista più brutta di noi che siamo aiutati dalla legge di gravità e nonostante questo ci lamentiamo!
A volte, anche in questi momenti tragici, la mente pur occupata in cose importanti, come mettersi in salvo, per la nota legge della sopravvivenza, si mette a fantasticare. La mia, si è messa a pensare ai traghetti sul fiume Hudson e si è ricordata, che detti battelli sono dotati di mezzi atti alla sicurezza ed al salvataggio dei passeggeri, come le zattere e i salvagenti. Allora mi è venuto in mente un’idea folle: “E se sul terrazzo del 110° piano avessero messo non dei salvagenti, ma dei deltaplano o dei paracadute per il parapendio?
Non dico tutti, ma penso qualcuno pratico si sarebbe potuto salvare: visto che molti si buttavano dall’alto anche senza paracadute!
Alle 9,05 si sente un altro schianto, ma la torre dove siamo noi vibra di pochissimo. Forse, penso io, sarà scoppiato qualcosa d’infiammabile depositato nei piani dove è avvenuto l’incendio. Dopo poco, una signora ch’era in comunicazione col marito, che lavorando ai piani bassi, aveva già guadagnato l’uscita, dice che un aereo ha colpito l’altra torre gemella: quella sul lato Sud. Come è possibile che due aerei cadano nello stesso giorno su due torri che sono visibili da miglia distanti? Allora, quasi in coro ci ricordiamo che esistono gli attentati, e gli attentatori, e che l’America non è vista tanto di buon occhio, in giro per il mondo, specialmente in quello Arabo.
Questo passaggio repentino da disgrazia ad attentato, fa aumentare di colpo le grida e la concitazione. Il passo automaticamente diventa più veloce.
A qualche altro, invece, gli fa venire la voglia di farla finita e si fa cadere giù da quell’altezza incredibile. Istintivamente la gente si gira dall’altra parte per non guardare, ma c’è qualcuno che come ipnotizzato si guarda quella macabra scena fino a che non vede più il corpo volare.
Sono le 9,20 e siamo al 52° piano. Stiamo quasi rispettando la tabella di marcia che mentalmente mi sono imposto. Ad un tratto sentiamo un rumore fortissimo: era l’enorme copertura di plastica che dava luce all'interno dell'edificio, che il calore aveva fatto sciogliere e cadere giù nel centro della torre. Automaticamente la gente si è spostata verso l’interno delle scale e nei corridoi, per non essere investita, ma parecchi vengono colpiti e trascinati nel vuoto. Molti si feriscono. Qualcuno ringrazia ad alta voce Dio che quell’enorme copertura, pesante tonnellate, cadendo ha fatto così poche vittime.
Man mano che si scende, la folla sulle scale aumenta, perché anche chi stava ai piani bassi e in un primo momento aveva deciso di non scendere, venuta a sapere del secondo impatto o vedendo cadere la copertura, si è accodata automaticamente alla fiumana che gli stava da tempo passando davanti.
Una signora di questi piani, diciamo bassi, che come già detto, in un primo momento aveva deciso che non era il caso immischiarsi in mezzo a quella folla, in preda al panico corre e gridando dice di aver visto passare, davanti alla finestra del suo ufficio, decine di corpi umani avvolti in palle di fuoco.
La situazione dovrebbe essere più grave del previsto e in tutti cresce la smania di uscire da quel budello irrespirabile. Approfittando della pausa, mi sono tolto la camicia e l’ho bagnata sotto una pompa d’emergenza, che forse lo stesso amico che scende prima di me, apre. “Grazie di nuovo amico!”
Mi rimprovero mentalmente per non averci pensato prima.
Come un gentiluomo d’altri tempi, strappo la camicia in due pezzi, e ne offro uno alla mia accompagnatrice che lo accetta con un sorriso e con una stretta delle sue dita che già si trovavano nella mia mano.
Eravamo al 35° piano, quando un pazzo furioso si è fatto largo tra la folla ed ha detto di aver ricevuto una telefonata dall’esterno di un suo amico ingegnere, che gli diceva di lasciare al più presto possibile quella tomba, perché il grande calore prodotto dall’incendio ai piani superiori avrebbe sciolto le travi d’acciaio della torre come burro, e nella migliore delle ipotesi, almeno i piani superiori sarebbero crollati. Come nella migliore delle ipotesi? E nella peggiore?
Non ci voglio neanche pensare!
Come risposta immediata, è iniziato un fuggi fuggi generale e in un istante non si è capito più niente. Gente che cadeva e veniva schiacciata da chi seguiva, gente che si sentiva male e che nessuno si fermava per aiutare. Gente che spingeva come un bulldozer per avere la precedenza. Un ragazzo con un tagliacarte in mano, che usava come fosse un machete, minacciava chi lo precedeva, per avere la strada libera davanti a lui.
Erano le 9,40 ed eravamo arrivati al 30° piano.
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