sabato 29 maggio 2010
11 Settembre 2001
Quarta Parte
La calca si è fatta insopportabile. Molte volte ero sul punto di perdere Angela ma poi le sue grida e molta fortuna, me l’hanno fatta sempre ritrovare.
Chissà se Angela non era in realtà un Angelo inviatomi dal signore?
Un bambino, che stava nell’enorme pancione di una donna di colore, ha sentito il bisogno di nascere proprio in quel momento. La puerpera si è spostata nello spazioso corridoio, si è stesa per terra e dai gesti e dai movimenti della bocca, sembrava che gridasse come una forsennata, ma noi assistevamo ad un film muto. Le sue grida erano assorbite da un enorme mormorio collettivo. Qualcuno gridava di mantenere la calma, qualche altro gridava a quelli che stavano davanti di andare più in fretta. Quasi ad ogni momento, si sentivano grida strazianti, pianti irrefrenabili e in continuazione chiamare a pieni polmoni nomi di persone. Forse qualcuno veniva diviso da qualche altro o chissà cosa vedessero davanti agli occhi, che noi non vedevamo.
Questa cosa è successa tante di quelle volte, da quando ho iniziato la discesa, e tanto dei nomi che ho sentito, che ad un certo punto ho pensato che in quell’inferno, fosse sceso il diavolo in persona a fare l’appello. Meno male che con la ragazza partoriente c’erano due donne, forse due colleghe, o due amiche trovate come io avevo trovato Angela. Abbiamo trovato un distributore di bibite sabotato, anche se in quell’occasione, anche per un giudice, tutto è lecito, e sabotare mi sembra una parola troppo grossa. Abbiamo approfittato per bagnarci e pulirci un poco la bocca ch’era diventata attaccaticcia per la troppa polvere ingoiata, nonostante avessimo ancora le due metà della mia camicia a proteggerci naso e bocca.
Erano le 9,50 ed eravamo al 20° piano. Ora si scendeva molto più lentamente, sembrava che in quel posto ci fosse una riunione o un party tanto della gente ch’era radunata. Ad ingolfare ancor di più la situazione si è messo una banda di un centinaio di pompieri che, agghindati di tutto punto, come strani fantasmi di mondi sconosciuti, si recavano ai piani superiori per spegnere l’incendio dal di dentro della torre, e gridavano di lasciare spazio per farli salire più in fretta. Che uomini coraggiosi!
Noi tutti, che avevamo in quel luogo, parenti, colleghi, amici e conoscenti, scappavamo come conigli inseguiti dal lupo, mentre loro, per quei quattro biglietti verdi che prendono a fine mese, andavano incontro alla morte. (Difatti, dopo ho saputo che non sono più usciti da quell’inferno.)
Alle 9,52 eravamo al 10° piano e Angela mi ha chiesto se potevamo fermarci. Gli ho chiesto se si trattasse di un’altra perdita idraulica, ma lei mi ha detto che non si sentiva più le gambe. Gli ho chiesto di fare un ultimo sforzo, ma lei mi si è afflosciata tra le braccia. Volevo fare come fanno quegli eroi cinematografici che prendono la loro bella sulle spalle e la portano in salvo. Ci ho provato, ma Angela non si è sollevata da terra, neanche di un centimetro: non perché il suo peso fosse eccessivo, ma soltanto perché le mie braccia, non abituate a sforzi, si rifiutavano.
Raschiando dentro di me, ho trovato solo la forza di tirarla un poco in disparte e stenderla su un mucchio di cartaccia che forse doveva andare al macero. Ci siamo riposati, forse un paio di minuti, forse 30 secondi, poi con un poco di coca cola, preso in un altro distributore ”sabotato” l’ho fatta rinvenire. Dall’alto piovevano ininterrottamente su di noi, vestiti, documenti, e frammenti di cose calde e fumanti, che nessuno si fermava ad analizzare. Per quegli ultimi 10 piani abbiamo impiegato un’eternità, fortuna che verso il 5° piano, qualcuno ci ha aiutati a scendere più velocemente invitandoci a dirigerci verso il lato orientale dell’edificio: era un poliziotto di colore, ma era più bianco della sabbia del deserto.
Erano le 10,00 precise, quando siamo usciti dall’edificio.
Ambedue avevamo le macchine nel garage della torre, situato a cinque piani sotto il livello stradale. Manco a pensarci di andarle a recuperare. Era così bello trovarsi non più rinchiusi in quello scatolone, che solo ad un pazzo poteva venire l’idea di andarsi a rinchiudere di nuovo e scendere ancora cinque piani sotto terra, per recuperare la macchina: poi anche volendo, non avevo neanche le chiavi?
Io e Angela ci siamo abbracciati e siamo stati in quella posizione per diversi minuti, poi abbiamo continuato ad allontanarci da quell’incubo sospinto dai poliziotti e dai volontari. Eravamo usciti da un incubo ed entrati in un altro.
Ad ogni passo s’incontravano cose mai immaginate di vedere, neanche nei più fantasiosi e orridi films di fantascienza. I morti, o quello che restava di loro, erano sparsi dappertutto. Ovunque si posassero gli occhi c’era una scena raccapricciante. Ho visto immagini di una carneficina inimmaginabile.
Parti di corpo umano che galleggiavano in mezzo ad uno strato di rifiuti e detriti. Angela, già provata da quella discesa infernale, è svenuta all’istante.
Un signore, forse un infermiere, l’ha fatta rinvenire e dopo di averci chiesto se volevamo essere accompagnati in ospedale, alla nostra risposta negativa, ci ha dato una bottiglia d’acqua minerale ed una coperta e ci fatto gli auguri, pregandoci di allontanarci in fretta da quel luogo.
Angela camminava ad occhi chiusi per non vedere, ma nonostante io la guidassi e la tenessi strettamente, inciampava spesso su qualcosa. L’ultimo inciampo è avvenuto su un tronco umano con una sola gamba: Forse quello è stato il pezzo più grande che abbiamo visto. Pensavo che Angela svenisse di nuovo, invece ha preso la sua coperta ed ha coperto quell’ammasso inguardabile.
Nell’aria c’era un odore di plastica e gomma bruciata e si faceva fatica a respirare. Ci stavamo dirigendo verso la Promenade sul fiume che porta al Greenwich Village, assieme ad una fila di sopravvissuti, non meglio conciati di noi, quando abbiamo sentito un altro schianto. Ci siamo girati di scatto e abbiamo visto la torre Nord cadere su se stessa, alzando un polverone che si dirigeva velocemente nella nostra direzione.
Erano le 10,07. Abbiamo fatto un ultimo sforzo, e correndo, siamo riusciti ad essere investiti solo marginalmente da quella nuvola di torre che tentava in tutti i modi di raggiungerci e carpire la nostra vita soffocandoci. Quando abbiamo avuto la sensazione che potevamo fermarci, lo abbiamo fatto sedendoci su una panchina. Eravamo ancora mano nella mano. Ci siamo guardati in faccia e nell’abbracciarci abbiamo scaricato senza ritegno le nostre lacrime.
Solo allora iniziavamo a comprendere la tragedia che aveva colpito l’America, e la fortuna che avevamo avuto noi per poterlo raccontare.
In quel momento mi è passata per la mente Justine; quella donna di colore che stava partorendo e quel poliziotto che al quinto piano aiutava la gente a scendere più in fretta: “Chissà se sono riusciti a salvarsi?!”
Dopo il pianto ci siamo guardati in faccia… e siamo scoppiati a ridere, tanto forte che sembrava stessimo piangendo di nuovo. La gente che stava accorrendo verso le torri in cerca di notizie si è fermata per un attimo nel vedere quella scenetta insolita. Eravamo ricoperti da uno strato di polvere, sembravamo due minatori appena usciti da una miniera di zolfo. Io ero con mezza canottiera sfilacciata e bruciacchiata e solo mezza gamba del pantalone. Angela era senza camicetta e reggiseno e senza scarpe, ma coperta di polvere sembrava avesse un vestito coloniale.
Una ragazza ch'era in strada ed aveva interrotto lo Joggins, gli ha offerto il giacchettino che portava attaccato in vita, per coprirsi il sedere.
Ho chiamato casa da un cellulare che volontariamente qualcuno mi ha offerto per avvertire mia moglie dello scampato pericolo. Mi ha risposto la segreteria telefonica dicendomi che mia moglie si era diretta verso le torri per vedere che fine avessi fatto. Gli ho lasciato a mia volta un messaggio, che stavo bene e che presto sarei tornato a casa. Angela era single e abitava da sola alla periferia opposta di New York. Gli ho chiesto se gli faceva piacere venire a casa mia e lei ha detto di sì. Abbiamo fatto cenno ad un taxi di avvicinarsi e ci siamo fatti accompagnare alla mia abitazione. Eravamo senza soldi, ed ho chiesto al taxista di avere soltanto la pazienza di attendere qualche secondo, il tempo di entrare in casa e prendere i soldi per il pagamento, ma lui ha detto che non importava, che la corsa ce l’eravamo guadagnata in quella torre.
I miei vicini, vedendoci in quelle condizioni, ci sono venuti incontro e dopo baci e abbracci e offerte di aiuto, si sono disposti sui due lati del vialetto di casa, come se fosse una parata militare, ed hanno scandito i nostri passi con applausi, come a volte si fa per onorare i novelli sposi.
Siamo entrati in casa, meno male che mia moglie ha lasciato la chiave sotto lo zerbino, ed ho chiesto ad Angela se desiderava farsi un bagno. Ha detto che forse lo desiderava ma non aveva la forza sufficiente. Io, non per emulazione ho detto la stessa cosa, ed allora ci siamo seduti sul divano buono del salone e dopo un attimo dormivamo mano nella mano, senza pensare a mia moglie che forse avrebbe trovato da ridire, non sul fatto di trovarmi abbracciato con una piacente signorina, ma che c’eravamo seduti sul divano nuovo combinati in quella maniera schifosa.
La televisione aveva mostrato in diretta la caduta delle torri ed il sindaco Giuliani, aveva pronosticato molte migliaia di morti. Noi due eravamo i sopravvissuti!
Quando ci siamo svegliati, abbiamo trovato mia moglie e i nostri figli che accovacciati davanti a noi ci guardavano come se fossimo marziani. Ho fatto le presentazioni, abbiamo assicurato i parenti di Angela che era viva e che per il momento non aveva bisogno di niente, poi siamo andati a farci, un bagno “lavatore e ristoratore” e poi ci siamo presentati in pubblico come eravamo una volta. Come eravamo una volta? Penso proprio di no! Non saremo più come eravamo una volta! Avremo per il futuro quelle scene sempre davanti gli occhi, ed avremo paura di affrontare un viaggio in aereo o salire in un grattacielo più alto “di due piani.” Avrò paura di bere acqua del rubinetto temendo che i pozzi potrebbero essere stati avvelenati. Avrò paura di mandare i miei figli a scuola; avrò paura di entrare in un cinema o un qualsiasi locale affollato; avrò paura di entrare in un autobus, per paura d’incontrare un kamikaze. Quando sentirò il motore di un aereo rombare sopra la mia casa, non resisterò di stare al chiuso, ma uscirò fuori per seguire la sua rotta ed essere sicuro che non sia io il suo bersaglio. Dopo questo fatto penso che ci sarà recessione e forse perderò il mio posto di lavoro: che ho già perso con la caduta delle torri. Forse cercherò un altro lavoro o forse, anche se non sono capace, è venuto il momento di andare a fare il pescatore o il pastore.
Angela ha detto che in me ha trovato il suo Angelo custode e che senza di me sarebbe sicuramente rimasta in quell’ammasso di detriti! Io avevo già pensato di lei la stessa cosa, che forse senza di lei mi sarei attardato ad aiutare qualcuno e sarei rimasto per sempre lì dentro. Adesso non riusciamo a lasciarci! Lei è ritornata nel suo precedente alloggio, ma mi ha detto che sta pensando di ritornare dai suoi genitori, perché non riesce più a stare da sola, sia emotivamente e sia economicamente: vista ch’è rimasta senza lavoro. Ogni mattino, appena svegli, ci telefoniamo. Ci basta sapere che siamo vivi e che stiamo bene. Ogni domenica vado a prenderla e la porto a mangiare a casa mia! Ormai fa parte della mia famiglia: anche a mia figlia e mia moglie piace questa ragazza e sono contente di vederla. Io?… Come è lunga una settimana!
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